venerdì 28 febbraio 2014

E. MONTALE Spesso il male...

Spesso il male di vivere ho incontrato 
Spesso il male di vivere ho incontrato:

era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l’incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato. 
Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.  Eugenio Montale
Commento:
Nella vita, dice il poeta, domina il dolore. Intorno all'uomo è sofferenza: sofferenza nelle cose, negli animali nelle persone. E' il male di vivere, una concezione pessimistica dell'esistenza che avvicina Montale a Leopardi. L'unico rimedio al male di vivere è l'indifferenza, che è divina perché ci consente di restare sereni e impassibili come gli dei del mondo antico.
Al male di vivere, a questa ferrea necessità dell'esistenza, il poeta contrappone la sua scelta morale, l'impassibilità, l'isolamento. Sono questi il suo bene di vivere, la sua filosofia della vita.
Nella formula montaliana del male del vivere si è riconosciuta l'intera cultura tra le due guerre.
Questo male di vivere è:
- il disagio contemporaneo di fronte a un mondo di odio e d'incomprensione
- l'angoscia per la caduta dei valori e degli ideali che avevano reso più accettabile l'esistenza alle generazioni precedenti
- il sentimento doloroso di chi non sa più conferire significato e scopo ai propri giorni
Il poeta rappresenta tutto ciò con la forza di alcuni eloquenti oggetti poetici. Si tratta di oggetti emblematici, che si caricano di un valore generale di simbolo: spesso, in montale, cose concrete diventano segno di concetti astratti. Si comincia individuando gli emblemi del male: il ruscello strozzato, la foglia incartocciata sul terreno, il cavallo caduto. Il bene per contro, non c'è, o meglio, consiste nell'assenza del male.
Da qui l'invito del poeta a fuggire: bisogna fuggire in ciò che egli chiama indifferenza. Essa è l'unica realtà divina, perché ci porta fuori dall'esistente, fuori come sono già altri oggetti emblematici:
- la statua: inattaccabile dai sentimenti e dalla sofferenza
- la nuvola e il falco staccati dal mondo e preservati così da ogni bruttura
In ciò risiede il precario messaggio che il poeta può offrirci in positivo: bisogna contemplare ogni cosa dall'altro e da fermi, secondo il tipico volo del falco. Questo è l'unico bene concesso agli uomini.

mercoledì 26 febbraio 2014

I generi letterari della Bibbia.... Classe 1^ A e 1^ B sec. 2°

Studiosa di generi letterari

Che cos'è  un genere letterario ed i generi letterari della Bibbia

I generi letterari sono le varie forme o maniere di scrivere comunemente usate tra gli uomini di una data epoca e regione, poste in relazione costante con determinati contenuti.
In una biblioteca moderna, i libri sono classificati secondo il tipo letterario: romanzi, novelle, poesia, storia, biografie, opere di teatro, ecc. La Bibbia, somiglia a una piccola biblioteca e contiene un'infinità di forme o generi letterari,
tra loro spesso mescolati anche all'interno di uno stesso libro.
Nell' Antico Testamento si può trovare poesia popolare (canti del lavoro, dell'amore, del custode o della vittoria, satire, enigmi...), prosa ufficiale (patti, simboli della fede, leggi, istruzioni, esortazioni, cataloghi, lettere...), narrazioni (miti, saghe, racconti eziologici, fiabe, memorie, informazioni, autobiografie...), letteratura profetica (oracoli, visioni, sogni, apocalissi...), generi sapienziali (proverbi, sentenze...), ecc.
Quanto al Nuovo Testamento, nei Vangeli sinottici troviamo detti profetici e sapienziali, paradigmi, parabole, dispute, sentenze, racconti di miracoli, storie della passione, ecc.; nelle lettere si incontrano inni, confessioni di fede, cataloghi di vizi e virtù, precetti per la famiglia, formule di fede, dossologie, ecc.; negli Atti abbiamo discorsi, sommari, preghiere, lettere, racconti di missione, racconti di viaggi, ecc.
Avere coscienza della peculiarità dei generi è molto importante per il nostro accostarci alla Bibbia, proprio perche siamo tentati di livellare i suoi diversi modi di esprimersi. Questo vale soprattutto per le narrazioni, che si tende sempre a leggere come fossero cronache dei fatti, senza sapere poi come affrontare gli inevitabili problemi di storicità di testi che non sono resoconti storici o lo sono in modo assai diverso dal nostro scrivere storia.
Ci si può esercitare nell'individuare le diverse forme, magari partendo da alcuni blocchi letterari caratterizzati dalla presenza,
in modo prevalente, di alcuni generi.
Tratto da "Incontro alla Bibbia" breve introduzione alla Sacra Scrittura per il cammino catechistico degli adulti
a cura della Conferenza Episcopale Italiana e dell'Ufficio Catechistico Nazionale

martedì 25 febbraio 2014

Unzione degli infermi...


L'unzione degli infermi (o unzione dei malati; o estrema unzione) è un sacramento celebrato dalla Chiesa cattolica e da altre chiese cristiane. Consiste fondamentalmente nella preghiera che si fa per un malato, spesso al suo capezzale, e nell'unzione dello stesso con l'olio appositamente benedetto per questo uso. È il sacramento destinato espressamente dalla Chiesa al conforto anche fisico delle persone affette da malattia, fin dai primi secoli del cristianesimo.
Dal punto di vista etnologico ed antropologico è un rito di passaggio. In passato questo sacramento era chiamato "estrema unzione". L'espressione ha le sue radici nella lingua latina, e si riferiva al fatto che, delle tre unzioni sacramentali dei cristiani (Cresima,Ordine sacroUnzione dei malati) questo sacramento era l'ultimo ad essere somministrato. Da questo significato, in cui "estremo" significa "ultimo", la prassi pastorale è arrivata a considerarlo unicamente il sacramento dei moribondi.Papa Innocenzo I, nella propria lettera del 19 marzo 416, stabilisce che l'olio consacrato dal vescovo, potesse essere amministrato anche dai fedeli ai cristiani che non erano sottoposti a penitenza, ponendone in risalto l'effetto corporale tant'è che fu definita da Cesario di Arles Medicina della chiesa.
Nei secoli successivi la diffusione del sacramento, raccomandata fino ad allora per contrastare rituali e pratiche magiche, venne regolamentata da disposizioni conciliari e celebrata dai sacerdoti. La Chiesa cattolica insegna che la sua istituzione risale a Gesù stesso.
  • Il primo invio missionario dei dodici apostoli da parte di Gesù. Dopo che questi ha dato loro le dovute istruzioni, l'evangelista narra:
E partiti, predicavano che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano di olio molti infermi e li guarivano (Marco 6,12-13).
Nel mio nome scacceranno i demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano i serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno, imporranno le mani ai malati e questi guariranno (Marco 16,17-18)
Chi tra voi è nel dolore, preghi; chi è nella gioia salmeggi. Chi è malato, chiami a sé i presbiteri della Chiesa e preghino su di lui, dopo averlo unto con olio, nel nome del Signore. E la preghiera fatta
con fede salverà il malato: il Signore lo rialzerà e se ha commesso peccati, gli saranno perdonati. 
Il Concilio Vaticano II (1962-1965) così la definisce:
Con la sacra unzione degli infermi e la preghiera dei sacerdoti, tutta la chiesa raccomanda gli ammalati al Signore sofferente e glorificato, perché alleggerisca le loro pene e li salvi, anzi li esorta ad unirsi spontaneamente alla passione e morte di Cristo, per contribuire così al bene del Popolo di Dio (LG 11))
La Costituzione apostolica Sacram Unctionem Infirmorum (30 novembre 1972), in linea con il Concilio Vaticano II ha stabilito che:
Il sacramento dell'Unzione degli infermi viene conferito ai malati in grave pericolo, ungendoli sulla fronte e sulle mani con olio debitamente benedetto – olio di oliva o altro olio vegetale – dicendo una sola volta:
"Per questa santa Unzione e per la sua piissima misericordia ti aiuti il Signore con la grazia dello Spirito Santo e, liberandoti dai peccati, ti salvi e nella sua bontà ti sollevi".
Oggi il sacramento dell'Unzione dei malati è visto nella luce della vicinanza di Cristo al malato e al sofferente.
Il Compendio del Catechismo afferma: "Questo Sacramento consente talvolta, se Dio lo vuole, anche il recupero della salute fisica". Il Catechismo elenca tra gli effetti del sacramento "il recupero della salute, se ciò giova alla salvezza spirituale".
La Chiesa cattolica lo amministra a chi, malato gravemente, è ancora capace di intendere e volere e così rafforzare la sua fede.
Ministro del sacramento sono il vescovo e il presbitero.

venerdì 21 febbraio 2014

La triangolazione dell'amore...


I greci, popolo di saggi e di filosofi, distinguevano tre volti o aspetti dell’amore: Eros, Agape e Philia.
Eros figlio di Povertà e Acquisto, secondo la concezione platonica, è l’amore carnale in cui esso occultamente manifesta il desiderio egotico del mutuo scambio, di un dare ed avere. Nasce dalla fame e diventa potere di acquisto di qualcosa che ne plachi la bramosia dei sensi.
Philia è l’amore sentimentale, quello che si stabilisce in un rapporto di complice amicizia, di affiatamento e di comunità di intenti.
Agape è l’Amore spirituale o universale che eleva l’uomo e gli fa comprendere che non è lui a possedere Dio ma Dio che lo possiede.
Ecco quindi il gran parlare dell’amore e le sue diverse manifestazioni.
L’amore che ci sublima e ci fa volare alto quando diventa amore universale, quindi disinteressato: Che nulla chiede in cambio perché, come dice Gibran nel Profeta: L’amore basta all’amore.
Il medesimo amore che ci fa sprofondare nello sconforto più nero, nel baratro di noi stessi quando invece esso si ferma all’Eros che egoisticamente tutto chiede e tutto pretende. E tanto più pretende tanto più ci annienta nel momento in cui questo finisce e ci si ritrova da soli.
Bello, soave e dolce invece è Philia che ci sa confortare, cullare, accarezzare, proteggere, quando, prima di pensare a noi stessi ed alla nostra felicità, anteponiamo a questa a quella dell’altro.
Il dibattito sul significato di amore nella lingua italiana è ampio, il termine racchiuderebbe comunemente le seguenti sfaccettature:
·         amore familiare verso i familiari o i parenti
·         amore per gli amici
·         amore per se stessi
·         amore romantico
·         amore sessuale (considerato da alcuni più un istinto che una vera e propria forma d'amore)
·         amore platonico, amore romantico verso qualcosa o qualcuno in cui un eventuale coinvolgimento fisico è solo un mezzo per raggiungere l'amore spirituale
·         amore caritatevole (detto anche bontà o misericordia), aiutare i bisognosi, gli affamati, gli animali feriti
·         amore ideale, per qualcosa di astratto o inanimato, come un'idea o un obiettivo
·         amore politico o sociale, per i propri principi, la propria nazione o patria, la propria dignità, il proprio onore e l'indipendenza
·         amore di fede verso qualche essere divino o Dio (detto anche devozione)

Nel greco antico i termini utilizzati per definire i vari sensi con cui attualmente si usa la parola "amore" sono in maggior numero e perciò più precisi, rispetto alle molte lingue moderne.
·         Agape (αγάπη) è amore di ragione, incondizionato, anche non ricambiato, spesso con riferimenti religiosi: è la parola usata nei vangeli.
·         Philia (φιλία) è l'amore di affetto e piacere, di cui ci si aspetta un ritorno, ad esempio tra amici.
·         Eros (έρως) definisce l'amore sessuale.
·         Anteros (αντέρως) è l'amore corrisposto.
·         Himeros è la passione del momento, il desiderio fisico presente e immediato che chiede di essere soddisfatto.
·         Pothos è il desiderio verso cui tendiamo, ciò che sogniamo.
·         Stοrge (στοργή) è l'amore d’appartenenza, ad esempio tra parenti e consanguinei.
·         Thelema (θέλημα) è il piacere di fare qualcosa, il desiderio voler fare.
Anche nel greco antico non è comunque possibile tenere i vari sensi ben separati e così troviamo agape talvolta con lo stesso significato di eros, e il verbo agapao con lo stesso significato di phileo (come nell'antico testo greco della Bibbia).
L'ebraico contiene la parola ahava per "affetto" e "favore", ma la più importante è la parola khesed che combina i concetti di "affetto" e "compassione" e viene talvolta tradotta con "tenerezza".

giovedì 13 febbraio 2014

La storia di S. Valentino Vescovo e Martire... protettore degli innamorati.

S. Valentino Vescovo e Martire
L' origine della festa degli innamorati è il tentativo della Chiesa cattolica di porre termine ad un popolare rito pagano per la fertilità. Per gli antichi Romani il mese di Febbraio era considerato il periodo in cui ci si preparava all'arrivo della primavera, considerata la stagione della rinascita. 
Si iniziavano i riti della purificazione: le case venivano pulite, vi si spargeva il sale ed una particolare farina. Verso la metà del mese iniziavano le celebrazioni dei Lupercali (dei che tenevano i lupi lontano dai campi coltivati). Fin dal quarto secolo A. C. i romani pagani rendevano omaggio, con un singolare rito annuale, al dio Lupercus. 
I Luperici, l'ordine di sacerdoti addetti a questo culto, si recavano alla grotta in cui, secondo la leggenda, la lupa aveva allattato Romolo e Remo e qui compivano i sacrifici propiziatori. Lungo le strade della città veniva sparso il sangue di alcuni animali, come segno di fertilità; ma il vero e proprio rituale consisteva in una specie di lotteria dell'amore. 
I nomi delle donne e degli uomini che adoravano questo Dio venivano messi in un'urna e opportunamente mescolati.
Quindi un bambino sceglieva a caso alcune coppie che per un intero anno avrebbero vissuto in intimità, affinché il rito della fertilità fosse concluso. L'anno successivo sarebbe poi ricominciato nuovamente con altre coppie. 
I padri precursori della Chiesa, determinati a mettere fine a questa pratica licenziosa, hanno cercato un santo “degli innamorati” per sostituire l’immorale  Lupercus. 
Nel 496 d.C Papa Gelasio annullò questa festa pagana ed iniziarono il culto di San Valentino, un vescovo che era stato martirizzato circa duecento anni prima. 
San Valentino nato a Terni nell'anno 175 d.C. divenne così il patrono dell'amore e protettore degli innamorati di tutto il mondo. 
Valentino dedicò la sua vita alla comunità cristiana e alla città di Terni dove infuriavano le persecuzioni contro i seguaci di Gesù. Fu consacrato vescovo della città nel 197 d.C. dal Papa San Feliciano. è considerato il patrono degli innamorati poiché la leggenda narra che egli fu il primo religioso che celebrò l'unione fra un legionario pagano e una giovane cristiana. 
La storia di San Valentino ha due finali differenti. Secondo una versione, quando l'imperatore Aureliano ordinò le persecuzioni contro i cristiani, San Valentino fu imprigionato e flagellato lungo la via Flaminia, lontano dalla città per evitare tumulti e rappresaglie dei fedeli. 
Mentre la seconda versione racconta che, nel 270 d.C. il vescovo Valentino, famoso per aver unito in matrimonio un pagano ed una cristiana, fu invitato dall'imperatore pazzo Claudio II che tentò di persuaderlo a convertirsi nuovamente al paganesimo. 
San Valentino, con dignità, rifiutò di rinunciare alla sua Fede e, imprudentemente, tentò di convertire a sua volta Claudio II al Cristianesimo. Il 24 febbraio 270 d.C. San Valentino fu lapidato e poi decapitato. 
La storia sostiene, inoltre, che mentre Valentino era in prigione in attesa dell'esecuzione si fosse innamorato della figlia cieca del guardiano, Asterius, e che con la sua fede avesse ridato miracolosamente la vista alla fanciulla. Si racconta che prima di morire Valentino le avesse mandato un messaggio d'addio che si concludeva con " dal vostro Valentino". 
Una frase che nel tempo è diventata sinonimo di Vero Amore.

lunedì 10 febbraio 2014

Ciro il Grande,,, per la classe 3^A e 3^B sec. 2°

LA MEMORIA DELLE FOIBE ... La storia di Norma Cossetto...

Norma Cossetto
Norma Cossetto era una splendida ragazza di 24 anni di Santa Domenica di Visinada, laureanda in lettere e filosofia presso l'Università di Padova. In quel periodo girava in bicicletta per i comuni dell'Istria per preparare il materiale per la sua tesi di laurea, che aveva per titolo "L'Istria Rossa" (Terra rossa per la bauxite).
Il 25 settembre 1943 un gruppo di partigiani irruppe in casa Cossetto razziando ogni cosa. Entrarono perfino nelle camere, sparando sopra i letti per spaventare le persone. Il giorno successivo prelevarono Norma. Venne condotta prima nella ex caserma dei Carabinieri di Visignano dove i capibanda si divertirono a tormentarla, promettendole libertà e mansioni direttive, se avesse accettato di collaborare e di aggregarsi alle loro imprese. Al netto rifiuto, la rinchiusero nella ex caserma della Guardia di Finanza a Parenzo assieme ad altri parenti, conoscenti ed amici.
Dopo una sosta di un paio di giorni, vennero tutti trasferiti durante la notte e trasportati con un camion nella scuola di Antignana, dove Norma iniziò il suo vero martirio. Fissata ad un tavolo con alcune corde, venne violentata da diciassette aguzzini, quindi gettata nuda nella Foiba poco distante, sulla catasta degli altri cadaveri degli istriani. Una signora di Antignana che abitava di fronte, sentendo dal primo pomeriggio urla e lamenti, verso sera, appena buio, osò avvicinarsi alle imposte socchiuse. Vide la ragazza legata al tavolo e la udì, distintamente, invocare pietà.
Il 13 ottobre 1943 a S. Domenico ritornarono i tedeschi i quali, su richiesta di Licia, sorella di Norma, catturarono alcuni partigiani che raccontarono la sua tragica fine e quella di suo padre. Il 10 dicembre 1943 i Vigili del fuoco di Pola, al comando del maresciallo Harzarich, ricuperarono la sua salma: era caduta supina, nuda, con le braccia legate con il filo di ferro, su un cumulo di altri cadaveri aggrovigliati; aveva ambedue i seni pugnalati ed altre parti del corpo sfregiate.
Emanuele Cossetto, che identificò la nipote Norma, riconobbe sul suo corpo varie ferite di armi da taglio; altrettanto riscontrò sui cadaveri degli altri. Norma aveva le mani legate in avanti, mentre le altre vittime erano state legate dietro. Da prigionieri partigiani, presi in seguito da militari italiani istriani, si seppe che Norma, durante la
prigionia venne violentata da molti.
La salma di Norma fu composta nella piccola cappella mortuaria del cimitero di Castellerier. Dei suoi diciassette torturatori, sei furono arrestati e obbligati a passare l'ultima notte della loro vita nella cappella mortuaria del locale cimitero per vegliare la salma, composta al centro, di quel corpo che essi avevano seviziato sessantasette giorni prima,nell'attesa angosciosa della morte certa. Soli, con la loro vittima, con il peso enorme dei loro rimorsi, tre impazzirono e all'alba caddero con gli altri, fucilati a colpi di mitra.