venerdì 28 marzo 2014

Storia e significato dell'uovo...

"Omne vivum ex ovo", cioè "tutti i viventi nascono da un uovo", è il motto che per secoli ha spiegato il principio che la vita non può avere origine dal nulla. Da esso capiamo quale importanza abbia sempre avuto l'uovo, con la sua forma perfetta nel nostro immaginario; la sua forma ovale è infatti una linea senza inizio e senza fine (infinita) che richiama l’eternità.
In tutto il mondo, l’uovo è il simbolo della Pasqua. Dipinto o intagliato, di cioccolato o di zucchero, di terracotta o di cartapesta, l’uovo è parte integrante della ricorrenza pasquale e nessuno vi rinuncerebbe. Ma quanti di noi conoscono il significato autentico di questo simbolo?
Se quelle di cioccolato o di cartapesta hanno un’origine recente, le uova vere colorate e decorate hanno una storia antichissima, che affonda le sue radici nella tradizione pagana. Simbolo della vita che nasce, l’uovo cosmico è all’origine del mondo: al suo interno avrebbe contenuto il germe degli esseri. Presso i greci, i cinesi e i persiani, l’uovo era anche il dono che veniva scambiato in occasione delle feste primaverili, quale simbolo della fertilità e dell’eterno ritorno della vita. Gli antichi romani usavano seppellire un uovo dipinto di rosso nei loro campi, per propiziarsi un buon raccolto.
Con l’avvento del Cristianesimo, molti riti pagani vengono recepiti dalla nuova religione. La stessa festività pasquale, d’altro canto, risente di lontani influssi: cade, infatti, tra il 25 marzo e il 25 aprile, ovvero nella prima domenica successiva al plenilunio che segue l’equinozio di primavera. La Pasqua, insomma, si festeggia proprio nel giorno in cui si compie il passaggio dalla stagione del riposo dei campi a quella della nuova semina e quindi della nuova vita per la natura.
Anche in occasione della Pasqua cristiana, dunque, è presente l’uovo, quale dono augurale, che ancora una volta è simbolo di rinascita, ma questa volta non della natura bensì dell’uomo stesso, della resurrezione di Cristo: il guscio è la tomba dalla quale Cristo uscì vivo.


giovedì 13 marzo 2014

I CHIODI SACRI...

Le reliquie dei Sacri Chiodi (o Santi Chiodi) sono tre (o quattro) e corrispondono ai chiodi che, secondo la tradizione, sono stati utilizzati durante la Crocifissione di Gesù.[1] Tra le più preziose del mondo cristiano, assieme alla Vera Croce e al Titulus crucis, si trovano da secoli in Italia, sparse in varie sedi. I Sacri Chiodi, al pari della Croce, vennero secondo la tradizione rinvenuti da sant'Elena Imperatrice durante il suo viaggio in Terrasanta nel 327-328. Elena lasciò la croce a Gerusalemme, portando invece con sé i chiodi: tornata a Roma, con uno di essi creò un morso di cavallo, e ne fece montare un altro sull'elmo del figlio Costantino I, affinché l'imperatore ed il suo cavallo fossero protetti in battaglia. Ad essi si accenna per la prima volta il 25 febbraio395 in un'orazione di sant'Ambrogio. Dell'esistenza delle reliquie parlò anche in una missiva con l'imperatore Teodosio.
Le reliquie si trasmisero ai discendenti dell'imperatore. San Gregorio di Tours parlò invece di quattro chiodi, citandone uno che fu immerso nel mare per calmare una tempesta. Nel VI secolo si trova una documentazione a Costantinopoli della venerazione di più santi chiodi, forse gli originali, forse derivazioni fatte secondo le consuetudini dell'epoca, usando una parte della reliquia originale e aggiungendovi una parte nuova a formare una replica. Le vicende successive delle reliquie si perdono nell'assenza di documentazione, restando solo varie tradizioni orali impossibili da verificare. La più antica menzione del Sacro Chiodo di Milano è del 1389, in cui si fa menzione di una richiesta a Giangaleazzo Visconti a vantaggio della cattedrale metropolitana, dove era riposto ab antiquo uno dei chiodi con cui fu crocifisso il Salvatore. La tradizione fa risalire la presenza del Chiodo a Milano dall'epoca di Ambrogio, ma esistono numerose altre ipotesi sul suo arrivo: messo in salvo spedendolo dopo la furia iconoclasta di Leone Isaurico (sec. VIII), o arrivato con le reliquie dei Magi deposti poi nella basilica di Sant'Eustorgio, o ancora donato al vescovo Arnolfo II da Ottone III; altri ancora ipotizzano che sia arrivato con le Crociate.
Il chiodo si trova ancora oggi sospeso sopra l'altare maggiore, attaccato alla chiave di volta, e secondo la tradizione è uno dei due provenienti dal morso del cavallo di Costantino I.
Il Sacro Chiodo è oggi conservato in una nicchia contenuta in una copia della serraglia in rame dorato con il rilievo del Padreterno (oggi nel Museo del Duomo). Anche se sospeso molto in alto, una luce rossa lo rende visibile da tutta la cattedrale. Il chiodo è prelevato dall'arcivescovo e mostrato ai fedeli ogni 3 maggio,festa dell'Invezione della Santa Croce" (cioè del ritrovamento della Croce), ora viene portato in processione il 14 settembre, festa dell'Esaltazione della Santa Croce. Per prelevare il chiodo dalla sua custodia viene utilizzata la seicentesca nivola, un curioso ascensore oggi meccanizzato. Il Sacro Chiodo di Roma si trova assieme alle reliquie della Croce nella basilica di Santa Croce in Gerusalemme; secondo la tradizione sarebbe la seconda parte del morso del cavallo di Costantino. La storica Valeriana Maspero ritiene che la corona fosse il diadema montato sull'elmo di Costantino, dove il sacro chiodo era già presente. Dopo la caduta dell'Impero romano d'Occidente, l'elmo di Costantino sarebbe stato portato a Costantinopoli, ma in seguito fu reclamato dal goto Teodorico il Grande, re d'Italia, il quale aveva a Monza la sua residenza estiva. I bizantini gli inviarono il diadema trattenendo la calotta dell'elmo. Esso sarebbe poi stato montato dentro la Corona ferrea: in realtà analisi recenti hanno dimostrato che l'anima della corona è d'argento, anziché di ferro, per cui è alquanto inverosimile che si tratti della reliquia, sebbene possa trattarsi di una reliquia per contatto.

Un quarto chiodo, quello che avrebbe tenuto la scritta "INRI" (per questo è piegato a "L"), si troverebbe nella cattedrale di Colle Val d'Elsa in provincia di Siena. Esso venne acquistato nel 1357 dall'ospedale di Santa Maria della Scala tramite un intermediario fiorentino come proveniente dal palazzo imperiale di Costantinopoli. Già conservato nella Cappella del Sacro Chiodo, venne poi donato alla con-cattedrale di Colle quando vennero potenziate le strutture ospedaliere di Santa Maria della Scala.

domenica 9 marzo 2014

LA VIA CRUCIS O VIA DOLOROSA...

La Via Crucis (dal latino, Via della Croce - anche detta Via Dolorosa) è un rito della Chiesa cattolica con cui si ricostruisce e commemora il percorso doloroso di Cristo che si avvia alla crocifissione sul Golgota. L'itinerario spirituale della Via Crucis è stato in tempi recenti completato con l'introduzione della Via Lucis — che celebra i misteri gloriosi, ovvero i fatti della vita di Cristo tra la sua Risurrezione e la Pentecoste. Alcuni fanno risalire la storia di questa devozione alle visite di Maria, madre di Gesù, presso i luoghi della Passione a Gerusalemme, ma la maggior parte degli storici riconosce l'inizio della specifica devozione a Francesco d'Assisi o alla tradizione francescana.
Intorno al 1294Rinaldo di Monte Crucis, frate domenicano, racconta la sua salita al Santo Sepolcro "per viam, per quam ascendit Christus, baiulans sibi crucem", per varie tappe, che chiama stationes: il luogo della condanna a morte di Gesù, l'incontro con le pie donne, la consegna della croce a Simone di Cirene, e gli altri episodi della Passione fino alla morte di Gesù sulla Croce.
Originariamente la vera Via Crucis comportava la necessità di recarsi materialmente in visita presso i luoghi dove Gesù aveva sofferto ed era stato messo a morte. Dal momento che un tale pellegrinaggio era impossibile per molti, la rappresentazione delle stazioni nelle chiese rappresentò un modo di portare idealmente a Gerusalemme ciascun credente. Le rappresentazioni dei vari episodi dolorosi accaduti lungo il percorso contribuivano a coinvolgere gli spettatori con una forte carica emotiva.
Tale pratica popolare venne diffusa dai pellegrini di ritorno dalla Terra santa e principalmente dai Minori Francescani che, dal 1342, avevano la custodia dei Luoghi Santi di Palestina. Inizialmente laVia Crucis come serie di quattordici "quadri" disposti nello stesso ordine (vedi il capitolo seguente) si diffonde in Spagna nella prima metà del XVII secolo e venne istituita esclusivamente nelle chiese dei Minori Osservanti e Riformati. Successivamente Clemente XII estese, nel 1731, la facoltà di istituire la Via Crucis anche nelle altre chiese mantenendo il privilegio della sua istituzione al solo ordine francescano.
Uno dei maggiori ideatori e propagatori della Via Crucis fu San Leonardo da Porto Maurizio, frate minore francescano che ne creò personalmente alcune centinaia. Al fine di limitare la diffusione incontrollata di tale pratica devozionale, Benedetto XIV ricorse poco dopo ai ripari stabilendo, nel 1741, che non vi potesse essere più di una Via Crucis per parrocchia.
La collocazione delle stazioni all'interno della chiesa doveva rispondere a norme di simmetria ed equidistanza: il corretto espletamento delle pratiche devozionali consentiva di acquisire le stesse indulgenze concesse visitando tutti i Luoghi Santi di Gerusalemme.
Oggi tutte le chiese cattoliche dispongono di una "via dolorosa", o almeno di una sequenza murale interna. Il numero e nomi delle stazioni cambiarono radicalmente in diverse occasioni nella storia della devozione, sebbene l'elenco corrente di quattordici stazioni ora sia quasi universalmente accettato. L'ordine lungo le pareti non segue una regola precisa, può infatti essere indifferentemente orario o antiorario. Secondo un documento della diocesi di Nanterre "l'ordine più diffuso è quello antiorario, ma non c'è una regola generale". Le Stazioni della Via Crucis che è arrivata a noi come tradizionale sono le seguenti:
  1. Gesù è condannato a morte 
  2. Gesù è caricato della croce
  3. Gesù cade per la prima volta
  4. Gesù incontra sua Madre
  5. Gesù è aiutato a portare la croce da Simone di Cirene
  6. Santa Veronica asciuga il volto di Gesù
  7. Gesù cade per la seconda volta
  8. Gesù ammonisce le donne di Gerusalemme
  9. Gesù cade per la terza volta
  10. Gesù è spogliato delle vesti
  11. Gesù è inchiodato sulla croce
  12. Gesù muore in croce
  13. Gesù è deposto dalla croce
  14. Il corpo di Gesù è deposto nel sepolcro. A volte la Via Crucis viene terminata con una quindicesima stazione, la Risurrezione di Gesù. Chi la aggiunge lo fa nell'idea che la preghiera cristiana nella contemplazione della passione non può fermarsi alla morte, ma deve guardare al di là, allo sbocco di cui i Vangeli ci parlano, alla risurrezione.La tendenza è però quella di evitare tale stazione, e di limitarsi ad annunciare la risurrezione in una qualche riflessione o preghiera finale, in maniera che la Via Crucis rimanga una meditazione della passione. In molti paesi sta diventando tradizione celebrare la Via Lucis nel tempo pasquale, come meditazione gioiosa della risurrezione di Cristo.

venerdì 28 febbraio 2014

E. MONTALE Spesso il male...

Spesso il male di vivere ho incontrato 
Spesso il male di vivere ho incontrato:

era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l’incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato. 
Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.  Eugenio Montale
Commento:
Nella vita, dice il poeta, domina il dolore. Intorno all'uomo è sofferenza: sofferenza nelle cose, negli animali nelle persone. E' il male di vivere, una concezione pessimistica dell'esistenza che avvicina Montale a Leopardi. L'unico rimedio al male di vivere è l'indifferenza, che è divina perché ci consente di restare sereni e impassibili come gli dei del mondo antico.
Al male di vivere, a questa ferrea necessità dell'esistenza, il poeta contrappone la sua scelta morale, l'impassibilità, l'isolamento. Sono questi il suo bene di vivere, la sua filosofia della vita.
Nella formula montaliana del male del vivere si è riconosciuta l'intera cultura tra le due guerre.
Questo male di vivere è:
- il disagio contemporaneo di fronte a un mondo di odio e d'incomprensione
- l'angoscia per la caduta dei valori e degli ideali che avevano reso più accettabile l'esistenza alle generazioni precedenti
- il sentimento doloroso di chi non sa più conferire significato e scopo ai propri giorni
Il poeta rappresenta tutto ciò con la forza di alcuni eloquenti oggetti poetici. Si tratta di oggetti emblematici, che si caricano di un valore generale di simbolo: spesso, in montale, cose concrete diventano segno di concetti astratti. Si comincia individuando gli emblemi del male: il ruscello strozzato, la foglia incartocciata sul terreno, il cavallo caduto. Il bene per contro, non c'è, o meglio, consiste nell'assenza del male.
Da qui l'invito del poeta a fuggire: bisogna fuggire in ciò che egli chiama indifferenza. Essa è l'unica realtà divina, perché ci porta fuori dall'esistente, fuori come sono già altri oggetti emblematici:
- la statua: inattaccabile dai sentimenti e dalla sofferenza
- la nuvola e il falco staccati dal mondo e preservati così da ogni bruttura
In ciò risiede il precario messaggio che il poeta può offrirci in positivo: bisogna contemplare ogni cosa dall'altro e da fermi, secondo il tipico volo del falco. Questo è l'unico bene concesso agli uomini.

mercoledì 26 febbraio 2014

I generi letterari della Bibbia.... Classe 1^ A e 1^ B sec. 2°

Studiosa di generi letterari

Che cos'è  un genere letterario ed i generi letterari della Bibbia

I generi letterari sono le varie forme o maniere di scrivere comunemente usate tra gli uomini di una data epoca e regione, poste in relazione costante con determinati contenuti.
In una biblioteca moderna, i libri sono classificati secondo il tipo letterario: romanzi, novelle, poesia, storia, biografie, opere di teatro, ecc. La Bibbia, somiglia a una piccola biblioteca e contiene un'infinità di forme o generi letterari,
tra loro spesso mescolati anche all'interno di uno stesso libro.
Nell' Antico Testamento si può trovare poesia popolare (canti del lavoro, dell'amore, del custode o della vittoria, satire, enigmi...), prosa ufficiale (patti, simboli della fede, leggi, istruzioni, esortazioni, cataloghi, lettere...), narrazioni (miti, saghe, racconti eziologici, fiabe, memorie, informazioni, autobiografie...), letteratura profetica (oracoli, visioni, sogni, apocalissi...), generi sapienziali (proverbi, sentenze...), ecc.
Quanto al Nuovo Testamento, nei Vangeli sinottici troviamo detti profetici e sapienziali, paradigmi, parabole, dispute, sentenze, racconti di miracoli, storie della passione, ecc.; nelle lettere si incontrano inni, confessioni di fede, cataloghi di vizi e virtù, precetti per la famiglia, formule di fede, dossologie, ecc.; negli Atti abbiamo discorsi, sommari, preghiere, lettere, racconti di missione, racconti di viaggi, ecc.
Avere coscienza della peculiarità dei generi è molto importante per il nostro accostarci alla Bibbia, proprio perche siamo tentati di livellare i suoi diversi modi di esprimersi. Questo vale soprattutto per le narrazioni, che si tende sempre a leggere come fossero cronache dei fatti, senza sapere poi come affrontare gli inevitabili problemi di storicità di testi che non sono resoconti storici o lo sono in modo assai diverso dal nostro scrivere storia.
Ci si può esercitare nell'individuare le diverse forme, magari partendo da alcuni blocchi letterari caratterizzati dalla presenza,
in modo prevalente, di alcuni generi.
Tratto da "Incontro alla Bibbia" breve introduzione alla Sacra Scrittura per il cammino catechistico degli adulti
a cura della Conferenza Episcopale Italiana e dell'Ufficio Catechistico Nazionale

martedì 25 febbraio 2014

Unzione degli infermi...


L'unzione degli infermi (o unzione dei malati; o estrema unzione) è un sacramento celebrato dalla Chiesa cattolica e da altre chiese cristiane. Consiste fondamentalmente nella preghiera che si fa per un malato, spesso al suo capezzale, e nell'unzione dello stesso con l'olio appositamente benedetto per questo uso. È il sacramento destinato espressamente dalla Chiesa al conforto anche fisico delle persone affette da malattia, fin dai primi secoli del cristianesimo.
Dal punto di vista etnologico ed antropologico è un rito di passaggio. In passato questo sacramento era chiamato "estrema unzione". L'espressione ha le sue radici nella lingua latina, e si riferiva al fatto che, delle tre unzioni sacramentali dei cristiani (Cresima,Ordine sacroUnzione dei malati) questo sacramento era l'ultimo ad essere somministrato. Da questo significato, in cui "estremo" significa "ultimo", la prassi pastorale è arrivata a considerarlo unicamente il sacramento dei moribondi.Papa Innocenzo I, nella propria lettera del 19 marzo 416, stabilisce che l'olio consacrato dal vescovo, potesse essere amministrato anche dai fedeli ai cristiani che non erano sottoposti a penitenza, ponendone in risalto l'effetto corporale tant'è che fu definita da Cesario di Arles Medicina della chiesa.
Nei secoli successivi la diffusione del sacramento, raccomandata fino ad allora per contrastare rituali e pratiche magiche, venne regolamentata da disposizioni conciliari e celebrata dai sacerdoti. La Chiesa cattolica insegna che la sua istituzione risale a Gesù stesso.
  • Il primo invio missionario dei dodici apostoli da parte di Gesù. Dopo che questi ha dato loro le dovute istruzioni, l'evangelista narra:
E partiti, predicavano che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano di olio molti infermi e li guarivano (Marco 6,12-13).
Nel mio nome scacceranno i demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano i serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno, imporranno le mani ai malati e questi guariranno (Marco 16,17-18)
Chi tra voi è nel dolore, preghi; chi è nella gioia salmeggi. Chi è malato, chiami a sé i presbiteri della Chiesa e preghino su di lui, dopo averlo unto con olio, nel nome del Signore. E la preghiera fatta
con fede salverà il malato: il Signore lo rialzerà e se ha commesso peccati, gli saranno perdonati. 
Il Concilio Vaticano II (1962-1965) così la definisce:
Con la sacra unzione degli infermi e la preghiera dei sacerdoti, tutta la chiesa raccomanda gli ammalati al Signore sofferente e glorificato, perché alleggerisca le loro pene e li salvi, anzi li esorta ad unirsi spontaneamente alla passione e morte di Cristo, per contribuire così al bene del Popolo di Dio (LG 11))
La Costituzione apostolica Sacram Unctionem Infirmorum (30 novembre 1972), in linea con il Concilio Vaticano II ha stabilito che:
Il sacramento dell'Unzione degli infermi viene conferito ai malati in grave pericolo, ungendoli sulla fronte e sulle mani con olio debitamente benedetto – olio di oliva o altro olio vegetale – dicendo una sola volta:
"Per questa santa Unzione e per la sua piissima misericordia ti aiuti il Signore con la grazia dello Spirito Santo e, liberandoti dai peccati, ti salvi e nella sua bontà ti sollevi".
Oggi il sacramento dell'Unzione dei malati è visto nella luce della vicinanza di Cristo al malato e al sofferente.
Il Compendio del Catechismo afferma: "Questo Sacramento consente talvolta, se Dio lo vuole, anche il recupero della salute fisica". Il Catechismo elenca tra gli effetti del sacramento "il recupero della salute, se ciò giova alla salvezza spirituale".
La Chiesa cattolica lo amministra a chi, malato gravemente, è ancora capace di intendere e volere e così rafforzare la sua fede.
Ministro del sacramento sono il vescovo e il presbitero.

venerdì 21 febbraio 2014

La triangolazione dell'amore...


I greci, popolo di saggi e di filosofi, distinguevano tre volti o aspetti dell’amore: Eros, Agape e Philia.
Eros figlio di Povertà e Acquisto, secondo la concezione platonica, è l’amore carnale in cui esso occultamente manifesta il desiderio egotico del mutuo scambio, di un dare ed avere. Nasce dalla fame e diventa potere di acquisto di qualcosa che ne plachi la bramosia dei sensi.
Philia è l’amore sentimentale, quello che si stabilisce in un rapporto di complice amicizia, di affiatamento e di comunità di intenti.
Agape è l’Amore spirituale o universale che eleva l’uomo e gli fa comprendere che non è lui a possedere Dio ma Dio che lo possiede.
Ecco quindi il gran parlare dell’amore e le sue diverse manifestazioni.
L’amore che ci sublima e ci fa volare alto quando diventa amore universale, quindi disinteressato: Che nulla chiede in cambio perché, come dice Gibran nel Profeta: L’amore basta all’amore.
Il medesimo amore che ci fa sprofondare nello sconforto più nero, nel baratro di noi stessi quando invece esso si ferma all’Eros che egoisticamente tutto chiede e tutto pretende. E tanto più pretende tanto più ci annienta nel momento in cui questo finisce e ci si ritrova da soli.
Bello, soave e dolce invece è Philia che ci sa confortare, cullare, accarezzare, proteggere, quando, prima di pensare a noi stessi ed alla nostra felicità, anteponiamo a questa a quella dell’altro.
Il dibattito sul significato di amore nella lingua italiana è ampio, il termine racchiuderebbe comunemente le seguenti sfaccettature:
·         amore familiare verso i familiari o i parenti
·         amore per gli amici
·         amore per se stessi
·         amore romantico
·         amore sessuale (considerato da alcuni più un istinto che una vera e propria forma d'amore)
·         amore platonico, amore romantico verso qualcosa o qualcuno in cui un eventuale coinvolgimento fisico è solo un mezzo per raggiungere l'amore spirituale
·         amore caritatevole (detto anche bontà o misericordia), aiutare i bisognosi, gli affamati, gli animali feriti
·         amore ideale, per qualcosa di astratto o inanimato, come un'idea o un obiettivo
·         amore politico o sociale, per i propri principi, la propria nazione o patria, la propria dignità, il proprio onore e l'indipendenza
·         amore di fede verso qualche essere divino o Dio (detto anche devozione)

Nel greco antico i termini utilizzati per definire i vari sensi con cui attualmente si usa la parola "amore" sono in maggior numero e perciò più precisi, rispetto alle molte lingue moderne.
·         Agape (αγάπη) è amore di ragione, incondizionato, anche non ricambiato, spesso con riferimenti religiosi: è la parola usata nei vangeli.
·         Philia (φιλία) è l'amore di affetto e piacere, di cui ci si aspetta un ritorno, ad esempio tra amici.
·         Eros (έρως) definisce l'amore sessuale.
·         Anteros (αντέρως) è l'amore corrisposto.
·         Himeros è la passione del momento, il desiderio fisico presente e immediato che chiede di essere soddisfatto.
·         Pothos è il desiderio verso cui tendiamo, ciò che sogniamo.
·         Stοrge (στοργή) è l'amore d’appartenenza, ad esempio tra parenti e consanguinei.
·         Thelema (θέλημα) è il piacere di fare qualcosa, il desiderio voler fare.
Anche nel greco antico non è comunque possibile tenere i vari sensi ben separati e così troviamo agape talvolta con lo stesso significato di eros, e il verbo agapao con lo stesso significato di phileo (come nell'antico testo greco della Bibbia).
L'ebraico contiene la parola ahava per "affetto" e "favore", ma la più importante è la parola khesed che combina i concetti di "affetto" e "compassione" e viene talvolta tradotta con "tenerezza".